Intervista al Generale PIACENTINI Luciano
16/Marzo/2016
Dott.sa Serangelo Denise
Intervista semi-strutturata.
La Libia è uno Stato Fallito alle porte della regione mediterranea, chiave di volta della politica estera italiana e questione fondamentale per l’ottimizzazione della sicurezza nazionale negli ultimi anni.
Alpha Institute ha cercato di fare chiarezza sul percorso che potrebbe portare all’apertura di un’operazione militare occulta per arginare il cedimento della struttura politico-sociale del Paese in attesa di una missione di più ampio respiro.
In relazione a tale scenario Il Generale PIACENTINI Luciano, ex comandante delle forze speciali del “Col Moschin” e per molti anni in servizio negli organismi di informazione e sicurezza, e la nostra analista militare, la Dott.ssa SERANGELO Denise, hanno fatto il punto della situazione.
PARTE 1 – LIBIA: INTELLIGENCE E FORZE SPECIALI NELLE OPERAZIONI OCCULTE
Generale, potrebbe spiegarci quali’è l’attuale situazione geopolitica della Libia? Come siamo arrivati ad avere uno Stato Fallito alle porte dell’Italia?
L’attuale condizione sociale e politica della Libia vede le sue origini nell’intervento militare del 2011, iniziato con i bombardamenti da parte della Francia seguiti a ruota da quelli inglesi e americani.
Gheddafi è stato un leader che – pur con metodi non ortodossi, cioè da dittatore – è riuscito ad amministrare la Libia. Con la sua dipartita il paese si è trovato a non avere più una guida a cui affidarsi ed è sprofondato nel caos.
Il mosaico etnico-tribale, tenuto insieme per poco più di 42 anni dal colonnello Muammar Gheddafi, che si articola in inestricabili divisioni etniche, nell’ambito di circa 140 tribù – che possono essere poste a premessa della cause principali della rivolta contro il Rais – dopo la caduta del regime hanno ripreso forza e vigore dando vita a oltre 200 fazioni armate, il cui unico desiderio era ed é conquistare una “fetta” delle risorse energetiche libiche (petrolio e gas).
Sono passati cinque anni ormai e la situazione cristallizzata nel 2011 oggi è ancora così.
Vi è molta confusione e senza un Governo di Unità Nazionale è difficile prevedere un miglioramento concreto.
Il Governo di Unità Nazionale di cui si parla stenta a nascere, l’accordo sempre difficile perché le fazioni che si contendono il potere vedono minacciati i loro interessi e le loro conquiste.
Secondo la sua esperienza, vede possibile un reale accordo sui nomi e sugli obbiettivi di un esecutivo unitario per la Libia?
Mi spiace ammetterlo ma sono molto scettico circa la nascita di un Governo di Unità Nazionale in Libia, vi sono davvero troppi interessi ed ognuno guarda al proprio personale ritorno.
Perché questo accordo venga siglato e possa funzionare davvero, attorno al tavolo delle trattative dovrebbero sedere tutti coloro che rappresentano una parte del paese.
Uno dei problemi che continua a portare a fondo un eventuale Governo è proprio l’incapacità – o, meglio, la non volontà – di dialogo tra le varie parti in causa.
L’errore che si sta commettendo in Libia è stato compiuto in Afganistan nel 2001.
Nella Trattativa di Bonn, seguita alla sconfitta dei talebani – e volta a pianificare la ricostruzione ed il futuro del Paese – erano presenti tutti gli attori tranne i talebani medesimi, ritenuti terroristi. E dopo 15 anni, la situazione nel Paese è ben nota. Infatti l’Afghanistan è senza pace anche e soprattutto perché si é lasciata fuori dal dialogo una componente fondamentale: i talebani appartengono all’etnia pashtun – la maggioranza della popolazione, circa il 40% – ma non si sentono rappresentati.
L’altro grande problema è rappresentato dai negoziati avviati dall’ONU, all’origine viziati da interessi “occulti” con paesi terzi che minavano dalle fondamenta la credibilità dell’esecutivo: in più occasioni il Governo islamista di Tripoli – non riconosciuto ed appoggiato da Turchia e Qatar – ha denunciato l’ingerenza di Arabia Saudita, Emirati Arabi ed Egitto nell’appoggiare il Governo di Tobruk (riconosciuto). Su tali basi un Governo di Unità Nazionale non può essere credibile e soprattutto non può rappresentare tutte le parti in causa in modo equo.
Generale, il clima politico è decisamente ostile esacerbato da una grande tensione sociale, in un contesto geopolitico come quello libico che tipo di intervento armato possiamo auspicare per il Paese?
Un qualsiasi intervento militare sarebbe da evitare: qualora ci fosse una formale richiesta d’intervento dell’eventuale Governo di Unità Nazionale, una parte della Libia – non rappresentata all’interno dell’esecutivo – riterrebbe illegittimo l’intervento. E le suddette fazioni costituirebbero la minaccia più seria per i contingenti di qualsiasi paese, perché si coalizzerebbero in chiave anti occidentale per contrastare e cacciare la “forza straniera di occupazione”.
Inoltre, senza un Governo, la missione sarebbe assolutamente da escludere: sia per la mancanza di una Coalizione – ove coincidano gli interessi nazionali e di conseguenza gli obiettivi – sia soprattutto perché tali carenze costituirebbero l’amalgama delle suddette 200 fazioni volte, congiuntamente, a contrastare i Paesi ivi presenti (Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Italia, qualora quest’ultima partecipasse).
Nell’ultimo periodo si è parlato sempre di più di un ritrovato equilibrio tra servizi segreti e Forze Speciali per migliorare la capacità informativa dell’Italia nel panorama libico.
Entrambi lavorano nell’ombra e sono tenuti ad una totale riservatezza, ma questa nuova liason potrà portare veri risultati?
La Comunità Intelligence riconosce alla nostra Intelligence sia un “radicamento” sul territorio libico per un suo retaggio – il “nostro giardino di casa” – sia significative capacità espresse e perfezionate nel tempo. Negli odierni scenari il fattore informativo umano costituisce, ancora una volta, la conditio sine qua non del successo. Presupposto indispensabile é che venga affidato l’appropriato ruolo alla Humint (Human Intelligence) senza la quale é difficile, se non impossibile, conseguire vantaggi sugli avversari. Si tratta di un dato tratto dall’esperienza sul campo e la “teorizzazione scientifica” non può fare a meno di tenerne conto.
Inoltre è auspicabile che gli interventi nei teatri operativi esteri siano concepiti con una procedura integrata, “comprehensive approach” – già “predisposta, collaudata e certificata”, con tutte le sue componenti in patria, ove è più facile e sicuro realizzarla, nel contesto di una maggiore integrazione interforze – di modo che civili e militari, nella piena osservanza dei rispettivi ruoli, possano collaborare pienamente ed efficacemente e siano in grado di conoscere e capire la cultura della popolazione locale che sono chiamati a sostenere e difendere.
In merito agli altri paesi che operano in Libia (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia) la situazione è complessa ed è indispensabile la costituzione di una Coalizione tra questi – compresa l’Italia – ove, come già accennato, gli interessi nazionali siano coincidenti. In tale quadro, l’Intelligence andrebbe sviluppata mediante la costituzione di fusion centre (centro di fusione) a livello politico-strategico, ove confluiscano rappresentati politici degli Stati della suddetta Coalizione, con poteri decisionali al fine di:
- ricercare possibili intese fra le varie parti in causa della Coalizione e costituire un’unica entità politica che assuma le responsabilità decisionali conseguenti alle informazioni che l’apparato di Intelligence della stessa potrà ricercare e fornire;
- basare l’attività di Intelligence soprattutto su operazioni di diplomazia parallela, finalizzate a ricercare e sviluppare opera di mediazione;
- sottoporre le informazioni acquisite ad esperti analisti di intelligence della Coalizione affinché forniscano obiettivi da conseguire alla componente militare;
- definire in ordine prioritario e di importanza gli obiettivi da neutralizzare comunicandoli al comandante militare delle forze della Coalizione, per la successiva acquisizione.
Le ultime notizie salite alla cronaca vedrebbero l’Italia impegnata in attività militari e d’intelligence in territorio libico.
Un lavoro sinergico tra i due enti governativi che dovrebbe mitigare la situazione in vista di una missione militare futura.
Cosa può dirci di questa collaborazione? Come si sviluppa e come è stata resa possibile?
Il rapporto Intelligence e Forze Speciali è disciplinato dall’emendamento all’articolo 18 della legge relativa alla partecipazione dell’Italia alle missioni Internazionali (approvata nel novembre 2015). Emendamento che introduce, in un quadro di specifiche norme giuridiche e regolamentari, provvedimenti di natura intelligence. E ciò dà luogo ad un ossimoro concettuale tenuto conto dell’inserimento di procedure di intelligence in un contesto esclusivamente operativo di militari italiani all’estero in cui si fissano regole ben precise di ingaggio, procedure, comportamenti e applicazione di Codici Penali Militari di Guerra o di Pace, a seconda delle situazioni. Per contro, le procedure di Intelligence non possono essere preventivamente prestabilite, ma individuate di volta in volta a seconda della tipologia di avversari e della specificità delle situazioni. Nel merito va sottolineato che le procedure di intelligence sono ben diverse dalle operazioni delle forze speciali: pertanto si ritiene opportuno non confondere metodologie proprie degli apparati informativi per neutralizzare la minaccia avversaria – che tra l’altro sono segrete e non possono essere rivelate nemmeno a servizi amici – con attività di supporto operativo delle Forze Speciali per conseguire uno specifico obiettivo, già determinato, individuato e localizzato dell’Apparato Intelligence.
In sintesi, il compito degli Organismi di Informazione non é quello di reprimere reati o di effettuare operazioni da “Rambo” ma di individuare e prevenire e, quindi, contrastare quelle minacce che mettono in pericolo la salus rei publicae.
In sintesi, il Presidente del Consiglio potrà avere alle proprie dipendenze, di impiego e gerarchiche – limitatamente alle operazioni speciali “fuori area” e tramite il Dipartimento per le Informazioni e la Sicurezza (Dis) – anche gli incursori delle Forze Speciali ( da non confondere con le FOS – Forze per Operazioni Speciali ), peraltro escludendo il Capo di Stato Maggiore della Difesa (dal quale le Forze Speciali dipendono direttamente per l’impiego). Il suddetto personale è costituito dagli incursori del 9° rgt. “Col Moschin” dell’Esercito e di Comsubin della M.M. nonché dagli operatori del Gruppo Intervento Speciale (GIS) dei Carabinieri.
Le regole d’ingaggio (ROE) sono una delle parti più importanti in fase di pianificazione delle operazioni all’estero, soprattutto quando il teatro è così articolato come quello libico.
Diverse settimane fa sono state pubblicate delle indiscrezioni circa le regole con cui Forze Speciali e Servizi Segreti avrebbero operato. Cosa può dirci a riguardo per fare chiarezza?
Non mi risulta che siano stati attribuiti poteri – non previsti dalle leggi e dalla normativa in vigore – agli Organismi di Informazione e Sicurezza e/o alle Forze Speciali. Inoltre le norme del Diritto Internazionale (Umanitario e non) sono rispettate.
Nel prossimo approfondimento cercheremo di comprendere, con il Generale Piacentini, quali misure militari e politiche si potrebbero intraprendere in Libia che siano coerenti con gli obblighi internazionali contratti dall’Italia con i partners NATO ed europei.