Alessandro Bagnolesi, Danilo Delle Fave

Come già previsto in una precedente analisi di marzo, la crisi in Ucraina e lo shock energetico hanno comportato l’aumento dei tassi d’interesse da parte della FED. Nella scelta tra combattere l’inflazione o evitare la recessione si è scelto di optare per la prima opzione, provocando tuttavia un effetto a catena sul resto dell’economia globale. Un dollaro apprezzato, in un contesto di alta volatilità internazionale, ha provocato un deflusso dal resto del mondo verso gli Stati Uniti: da un lato i Paesi in via di sviluppo si trovano in affanno per la difficoltà ad acquisire dollari sul mercato per le esportazioni, portando a situazioni pericolose o totalmente deflagrate come nello Sri Lanka, dall’altro la scelta della FED colpendo duramente lo Yen e l’Euro, che si è trovato per la prima volta nella sua storia in parità con il dollaro[1].

Inoltre, più il dollaro si rafforza, più vi è il rischio che l’aumento dei tassi non sia sufficiente per frenare la spinta inflattiva. Senza un accordo di conversione su modello degli accordi di Plaza Hotel del 1985 il rischio è di trovarsi in un contesto di gioco a somma zero, facilitando le forze politiche avverse all’attuale corso politico nei Paesi occidentali e crisi economico-finanziarie nei Paesi in via di sviluppo.

La scelta di usare la valuta come arma di pressione politica, con il congelamento dei depositi della banca centrale russa e dell’esclusione dallo Swift che hanno comportato il default tecnico del paese, sta portando ad accelerare dei processi già ampiamente in corso. L’esclusione della Russia dal mercato dell’Eurodollaro non ha comportato il suo collasso interno: la possibilità di offrire materie prime energetiche e alimentari a basso costo e il monopolio nella produzione mondiale di fertilizzanti ha consentito alla Russia di rimanere sui mercati internazionali mediante accordi con singoli stati nazionali.

Il default tecnico non ha impedito l’acquisto dei titoli di stato russi in mercati non occidentali: Mosca sostiene di poter pagare gli interessi sul proprio debito ma sono impossibilitati a farlo a causa delle sanzioni, in particolare il blocco dello SWIFT.

Il successo più rilevante da parte russa è rappresentato dall’aver rinforzato i BRICS nella loro cooperazione reciproca, favorendo l’adozione di un paniere di valute per gli scambi tra i Paesi membri, e aprendo all’adesione di altri Paesi[2]: la richiesta di Paesi come l’Argentina, e il potenziale ingresso di Arabia Saudita, Egitto e Turchia, palesa l’ambizione di costituire un contrappeso al G7 in grado di monopolizzare la produzione di materie prime, energetiche e alimentare, e semilavorati.

Il maggiore esempio della difficoltà occidentale nell’imporre un effettivo isolamento internazionale della Russia è dato dalla posizione delle monarchie del Golfo: esse rappresentano un’alternativa al mercato europeo per i soggetti russi sotto sanzioni, in particolare a Dubai[3].

Un partner statunitense cruciale nella regione, l’Arabia Saudita, non solo sta accettando pagamenti in Yuan per le sue esportazioni con la Cina ma sta acquistando petrolio russo per la produzione energetica interna, riservando la propria produzione di petrolio per l’esportazione nei Paesi occidentali[4]. Allo stesso modo, l’India importa petrolio russo nei propri impianti di raffinazione per poi esportarlo nel resto del mondo[5].

La Russia può quindi contare su diverse pratiche di aggiramento delle sanzioni mediante Paesi terzi e sui quali le pressioni di Usa e Ue si rivelano non efficaci.

Dal punto di vista occidentale vi è il problema di non poter sopperire alle materie prime alimentari russe sul mercato mondiale, cosa che facilita il potere contrattuale di Mosca verso i Paesi maggiormente vulnerabili alle problematiche alimentari, e di non poter sostituire il gas russo nel breve-medio termine. La destabilizzazione della logistica, del settore energetico e finanziario mondiale è il principale ostacolo della politica occidentale[6].

Possibili Scenari

  • L’assenza di coordinamento valutario nei precedenti vertici del G7 non lascia presagire da parte occidentale la capacità di imposizione di sacrifici economici per alleviare le sofferenze dei propri alleati. La competizione per la ricerca di fonti energetiche alternative a quelle russe, ma senza liberare quelle iraniane da sanzioni, comporterà una feroce competizione sui mercati, dove i Paesi occidentali pur di garantire l’afflusso di gas getteranno sul lastrico Paesi del terzo mondo dipendenti energeticamente: il rafforzamento del dollaro sulle altre valute provocherà delle pressioni valutarie nei Paesi in via di sviluppo che rischieranno di trovarsi insolventi, come accaduto allo Sri Lanka, senza dei correttivi.
  • La solidarietà occidentale lascerà presto il posto a una competizione per evitare la conflittualità sociale interna. In tal senso, è plausibile aspettarsi un allentamento delle sanzioni, soprattutto per quanto riguarda fertilizzanti e prodotti agricoli.
  • Complice l’ondata di calore, la produzione agricola del continente ha sofferto molto quest’anno e si rischia un’impennata dei prezzi dei beni alimentari, senza contare che l’assenza di questi beni destabilizzerà Nordafrica e Medioriente, con il rischio di un ripresentarsi delle rivolte del pane del 2011: è quindi plausibile aspettarsi che le prime sanzioni a essere eliminate saranno quelle che riguarderanno le banche russe che si occupano dell’esportazioni dei prodotti agricoli di Mosca.
  • Riguardo le sanzioni energetiche, il principale ostacolo al loro mantenimento è dettato dall’assenza di alternative sul medio termine che impedisca il ricorso alla riduzione del consumo energetico da parte europea. Tale imposizione certificherebbe una profonda recessione nel continente, con un rischio particolarmente elevato per i Paesi più dipendenti dal gas e petrolio russo. Il ricorso al carbone rimane un’arma spuntata senza l’apertura di impianti di estrazione sul continente, in quanto l’Europa continua a importare carbone dalla Russia.
  • L’economia russa subirà una forte battuta di arresto soprattutto per i suoi settori ad alta tecnologia maggiormente dipendenti dall’occidente. Tuttavia, senza un isolamento effettivo, potrà ricorrere ad altri mercati, come quello cinese, o quello asiatico, basti pensare all’accettazione da parte della Corea del Sud del sistema bancario russo Mir, o alle sue partnership con Paesi come l’Algeria per acquisire la tecnologia sottoposta a sanzione nel Gas&Oil.
  • Alla luce di tutto questo, e se non si adotteranno gli accorgimenti sopra esposti, sarà da aspettarsi uno sfaldamento del blocco occidentale nell’inverno 2023. Le leadership occidentali troveranno difficile sostenere politicamente l’attuale livello di sostegno economico a Kyiv senza l’emergere di forze politiche che sostengano l’uso di queste risorse per alleviare la popolazione dall’inflazione e dalla recessione.
  • Questo rischio è ancora più rilevante nei Paesi europei, dove le recenti elezioni francesi e la crisi di governo italiana mostrano l’insostenibilità da parte delle opinioni pubbliche della situazione economica. Ricorrendo a carbonfossili, ricercando accordi con dittature e petrolmonarchie per la fornitura di energia, l’immagine politica dell’Occidente, e in particolare dell’Unione Europea, si comprometterà non solo agli occhi dei partner stranieri, che favoriranno forme di disintermediazione dal mercato dell’Eurodollaro, ma vedrà un’opinione pubblica interna sempre più disillusa e insofferente verso le proprie élite, rendendo più difficili politiche estere interventiste.
  • La fine del momento unipolare e l’inizio di un’era dei rapporti internazionali con la formazione di poli economici e politici alternativi all’Occidente, lungi dall’essere uno spauracchio, diventerà realtà.

Policy Consigliate

  • Vista l’impossibilità di coinvolgere i principali Paesi nell’isolare Mosca, se si vuole che le sanzioni abbiano un loro effetto duraturo è necessario mantenerle il più a lungo possibile. Evitare l’adozione di sanzioni per ragioni di immagini e ridurre al minimo i contraccolpi sulle economie nazionali delle sanzioni stesse. Sanzioni non sostenibili non solo non risolvono nulla se rimangono nel breve periodo ma rischiano di erodere il consenso politico dietro il sostengo alla causa ucraina.
  • Non sottovalutare l’uso delle criptovalute da parte russa per aggirare le sanzioni e lavorare per una loro regolamentazione a livello sovranazionale.
  • Raggiungere il prima possibile un accordo valutario a livello G7 per impedire la destabilizzazione del mercato finanziario internazionale dovuto all’apprezzamento del dollaro.
  • Lavorare a livello diplomatico, anche a costo di pesanti concessioni politiche, per ottenere un aumento dell’offerta di gas e petrolio nel mercato mondiale. Senza il supporto a livello OPEC non si potrà togliere a Mosca tale strumento di pressione.

Note:

[1] https://www.reuters.com/markets/europe/euro-is-parity-its-fate-is-now-with-energy-markets-2022-07-13/

[2] https://www.globaltimes.cn/page/202207/1270661.shtml

[3] https://www.euronews.com/2022/07/16/us-ukraine-crisis-emirates-russia

[4] https://cyprus-mail.com/2022/07/15/saudi-arabia-doubles-q2-russian-fuel-oil-imports-for-power-generation/

[5] https://asia.nikkei.com/Business/Energy/India-under-spotlight-for-laundering-Russian-oil

[6] https://www2.deloitte.com/xe/en/insights/focus/supply-chain/supply-chain-war-russia-ukraine.html

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