Credits: © Afp – Colpo di stato in Myanmar

Di Elisa Fabretto

Executive summary

Nella mattinata del 1° febbraio 2021 il Tatmadaw – Forza Armata Birmana – ha arrestato il leader del partito di maggioranza Aung San Suu Kyi, il Presidente Win Myint e altri esponenti della Lega Nazionale per la Democrazia – LND, che in occasione delle elezioni di novembre 2020 si erano aggiudicati l’83% dei seggi.

Il Tatmadaw ha dichiarato uno stato di emergenza della durata di un anno e ha affidato la guida del Paese al comandante in carica delle Forze Armate, Gen. Min Aung Hlaing, nominando anche alcuni ministri per il nuovo esecutivo. A quanto sostenuto dalle Forze Armate, l’LND avrebbe effettuato dei brogli elettorali al fine di aggiudicarsi la maggioranza dei seggi, pertanto il colpo di stato sarebbe giustificato dalla necessità di far rispettare la Costituzione nazionale.

Analisi

Il Myanmar non è nuovo ad avvenimenti come il colpo di stato del 1° febbraio scorso. A partire dall’indipendenza dal Regno Unito, dichiarata nel 1948, la fragilità delle istituzioni politiche ha comportato  un aumento del potere dei militari. Infatti, tra il 1958 e il 1960 gli stessi presero provvisoriamente il controllo del Governo, su richiesta del Primo Ministro allora in carica, per superare un periodo di grave instabilità. Nel 1960, in seguito alle elezioni, il Tatmadaw ristabilì volontariamente il Governo civile, salvo poi effettuare un golpe nel 1962, che permise ai militari di mantenere stabilmente il potere sul Paese per 25 anni. Nel 1988, complice anche una crisi economica, la popolazione organizzò numerose proteste contro il regime del Tatmadaw che permise ai birmani di tornare alle urne nel 1990. Le elezioni furono vinte dal partito di Aung San Su Kyi, che negli anni delle proteste aveva ottenuto molto consenso tra la popolazione presentandosi come esponente delle forze pro-democrazia. Le Forze Armate rifiutarono il risultato delle elezioni, arrestando Aung San Suu Kyi e riprendendo il potere. Nel 2015 si tennero nuovamente le elezioni che videro la vittoria dell’LND sempre guidato da Aung San Suu Kyi.

Nonostante un ritorno formale alla democrazia, la politica del Myanmar è rimasta caratterizzata da una forte influenza del Tatmadaw, a cui la Costituzione riconosce il diritto alla nomina di un quarto dei parlamentari e al controllo di tre ministeri chiave, Difesa, Interni e Controllo delle frontiere. La stessa Suu Kyi ha dovuto negli anni mediare il rapporto tra il suo partito e le Forze Armate; fece ad esempio scalpore la difesa dell’Esercito sostenuta dalla Premio Nobel per la Pace di fronte alla Corte di giustizia dell’Aja, che aveva chiamato il Myanmar a rispondere all’accusa di genocidio nei confronti dei Rhoingya, minoranza etnica del Rakhine.

Le elezioni del novembre 2020 erano percepite dalla popolazione come un indice di gradimento nei confronti della leader dell’LND Aung San Suu Kyi; il risultato registrato ai seggi ha mostrato un aumento del gradimento del partito pro-democrazia, a scapito del partito supportato dai militari, Partito per l’Unione la Solidarietà e lo Sviluppo. I militari hanno subito accusato il partito di maggioranza di aver effettuato dei brogli e hanno minacciato di rovesciare il Governo al fine di far rispettare i principi della Costituzione.

Nella giornata del 1° febbraio, in seguito al rifiuto da parte del Governo di effettuare una seconda volta il conteggio dei voti, il Gen. Min Aung Hlaing ha fatto arrestare Aung San Suu Kyi, il Presidente Win Myint e altri esponenti dell’LND e ha dichiarato lo stato di emergenza per un anno. Come previsto dalla costituzione, lo stato d’emergenza riconosce il diritto dei militari di creare un governo ad interim, pertanto il Tatmadaw ha nominato alcuni Ministri per formare il Governo, guidato dallo stesso Generale. Nelle ore immediatamente successive al colpo di stato sono stati segnalati su tutto il territorio birmano disservizi sulle linee telefoniche ed internet, dal 50% della copertura nella capitale economica Yangon, all’isolamento totale in alcune regioni rurali. Anche i voli nazionali ed internazionali sono stati momentaneamente sospesi.

Nonostante molti analisti escludessero la possibilità di tale avvenimento, soprattutto in virtù del fatto che la costituzione difende ampiamente gli interessi dei militari, la possibilità di golpe non risultava del tutto escludibile, soprattutto alla luce dei risultati elettorali che hanno registrato un così alto apprezzamento a favore del partito pro-democrazia, che segnalerebbe non solo l’insofferenza nei confronti delle Forze Armate da parte della popolazione, ma anche una minaccia per gli interessi del Gen. Min Aung Hlaing, le cui mire politiche ed economiche sarebbero stati messi a repentaglio dalla sconfitta del partito pro-militari alle ultime elezioni.

In seguito all’arresto, Aung San Suu Kyi ha esortato la popolazione a non accettare la presa di potere da parte dei militari e in Thailandia e in Giappone sono già state registrate alcune proteste effettuate da parte dei lavoratori espatriati birmani davanti alle ambasciate del Myanmar e ad altre sedi internazionali.

Le reazioni internazionali non si sono fatte attendere, il Regno Unito ha invitato il Myanmar a rispettare la volontà della popolazione, mentre il neo-Presidente statunitense Joe Biden ha dichiarato che gli USA condannano qualsiasi tentativo di rovesciare i risultati delle votazioni democratiche e ha minacciato di adottare adeguati provvedimenti nel caso in cui il Tatmadaw non dovesse tornare sui propri passi. Non ha preso invece una posizione netta la Cina, che ha invitato le parti in causa, Governo eletto e militari, a dialogare per giungere ad una soluzione condivisa.

Ripercussioni sulla sicurezza nel breve-medio periodo

Sebbene non sia il primo golpe nella storia del Paese, il recente colpo di stato in Myanmar è avvenuto in una situazione politico-sociale differente rispetto ai precedenti. Le elezioni del 2015 sono infatti internazionalmente riconosciute come le prime votazioni democratiche dello Stato, pertanto gli avvenimenti del febbraio 2021 si collocano in un contesto caratterizzato da una maggiore consapevolezza della popolazione rispetto alle dinamiche democratiche. Il rischio di un aumento delle proteste e delle rivolte popolari risulta dunque molto alto nel breve periodo. Tali proteste appaiono particolarmente suscettibili di sfociare in violenze tra manifestanti e Forze dell’Ordine.

La situazione delle minoranze etniche del Rakhine, ma anche degli stati dello Shan e del Kachin, potrebbe ulteriormente deteriorarsi, con una maggiore repressione da parte dei militari nei confronti di tali popolazioni. Per contro, i gruppi armati irregolari facenti parte delle minoranze etniche potrebbero aumentare l’intensità degli attacchi, già frequentemente effettuati contro il personale delle Forze Armate.

Anche l’economia del Paese, che aveva già visto un rallentamento della crescita negli ultimi anni, potrebbe risentire dell’aumento dell’instabilità politica, che già precedentemente alle elezioni dello scorso novembre risultava penalizzante per eventuali afflussi di capitali dall’estero. A questo si aggiunge il fatto che alcuni partner internazionali, come gli Stati Uniti d’America, potrebbero decidere di ristabilire le sanzioni economiche precedentemente imposte al Myanmar e sospese nel 2015 in seguito alla ripresa delle consultazioni democratiche.

Ultimo punto da tenere in considerazione è infine quello dell’emergenza covid-19, in quanto i nuovi disordini ed in generale la maggiore instabilità dello Stato potrebbero rendere più complessa la gestione dell’attuale emergenza pandemica.

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