Il 2017 è stato per Israele un anno fondamentale. In un anno gli scenari geopolitici dell’area mediorientale sono cambiati in maniera notevolmente radicale: la lenta fine della guerra in Siria, le politiche di Donald Trump, il rafforzamento della posizione iraniana al confine con la Siria, le problematiche interne legate alle accuse di corruzione contro Netanyahu e gli accordi di riconciliazione tra Hamas e Fatah.
In primo luogo, la guerra in Siria è giunta alla sua fine. L’ISIS ha perso due dei pilastri sui quali l’organizzazione contava maggiormente: la leadership e la sovranità territoriale. Quello che era stato stabilito come un vero e proprio stato islamico si è trasformato in semplice, seppur sostanzioso, capitale umano radicalizzato. Qualsiasi futuro sceglieranno i Foreign Fighters, una via che comprenda la creazione di una nuova organizzazione terroristica, o il loro inglobamento da parte di Al Qaeda, o il tentativo di spostarsi per iniziare una nuova guerra contro “Al-Adou al-Baeed” (ovvero il nemico lontano, identificato nell’occidente), è certo che abbiano perso ogni possibilità di spodestare Assad dall’infuocato trono siriano.
La Russia e l’Iran sono considerati ad oggi i veri vincitori della guerra. Negli ultimi mesi è emersa con chiarezza l’intenzione di Teheran di stabilire delle roccaforti in Siria, in particolare nelle zone dove potrebbe facilmente dialogare anche con Hezbollah. Il Golan è assolutamente intoccabile per Israele che ha paventato l’ipotesi di una vera e propria guerra qualora fosse impossibile convincere l’Iran a non avvicinarsi ai confini con lo stato ebraico.
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