Il contesto afghano, per la sua natura geopolitica insulare, funge, oggi come allora, da “buffer zone” tra Medio Oriente e Asia, ed ha da sempre giocato un ruolo di primaria importanza sia per gli equilibri regionali che per la proliferazione di movimenti jihadisti o appartenenti all’Islam ortodosso (deobandi), tra cui si annoverano le influenze dei talebani provenienti dal confinante Pakistan; e, in seno alla resistenza armata contro l’invasore sovietico a partire dal 1979, quella dei mujaheddin, i quali realizzarono una mobilitazione ed un’impresa senza eguali nel mondo arabo, rappresentando negli anni a venire, la vera fonte per la definizione ideologica, militare e strategica del network di al-Qaeda. La minaccia regionale si estese sino a diventare globale dopo gli eventi dell’11 settembre, cui seguirono la risposta militare del Paese, vittima di tale aggressione sotto egida NATO. Mediante le operazioni ISAF di enduring freedom e resolute support, si andò a trasformare queste ultime in una ricerca di un equilibrio regionale afghano, con l’intento di distruggere ogni campo di addestramento cui al-Qaeda era entrato in possesso, catturando i suoi leader, estromettendo i talebani dal potere e perseguendo la lotta al terrorismo anche oltre i confini fino ad intervenire in Iraq. Inoltre, lo scopo fu quello di trovare e smantellare le armi di distruzione di massa, le quali si pensavano fossero in possesso del regime ba’athista di Saddam Hussein, pronto a fornirle a gruppi terroristici o ad esser utilizzate contro i paesi alleati statunitensi nel bacino medio orientale.

 

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