Il periodo tra il 2011 e il 2012 è stato sicuramente uno dei più esaltanti nella storia delle operazioni di peacekeeping in Somalia. In quel periodo, Al-Shabaab veniva contemporaneamente scacciata dalla città di Chisimaio e dalle aree rurali, dove agricoltori e contadini si ribellavano all’organizzazione. Le azioni congiunte di Nato e Unione Africana incalzavano i pirati che furono attaccati nelle loro basi a terra. L’ingresso del Kenya nel conflitto con l’operazione Linda Nchi chiudeva gli Shabaab in una tenaglia, limitando, almeno in teoria, le capacità di movimento dell’organizzazione. Sebbene la Somalia denotasse ancora molti problemi in termini di state building e a causa delle emergenze umanitarie (leggi carestia e siccità) la comunità internazionale accarezzava il sogno di stabilizzare il paese dopo 22 anni di guerra civile, obiettivo sia morale che strategico dato che la stabilizzazione della Somalia metteva in sicurezza l’Oceano Indiano e l’ingresso al Canale di Suez. Che cosa rimane di quel momento esaltante cinque anni dopo? Al Shabaab è riuscita a superare la sua crisi diventando più letale che mai, le carestie e la siccità nel Corno d’Africa hanno assunto la parvenza di un evento sempre più “ciclico” dato il continuo ripetersi di questi fenomeni e i pirati stanno rialzando la testa. La permanenza dell’Unione Africana nel paese è quanto mai incerta, visti gli ultimi tentativi (minacce) di ritiro del contingente. Le forze armate dei paesi impegnati nella stabilizzazione hanno aumentato la loro presenza nella regione riuscendo solo a limitare l’espandersi dei fenomeni di pirateria e terrorismo ma non a reprimerli. Lo scopo di questo studio è, partendo da un’analisi delle cause dell’attuale crisi in Somalia, cercare di capire gli errori commessi nella gestione della crisi somala dal biennio 2011-2012. Cercheremo di tracciare anche i possibili sviluppi per il futuro del paese e degli attori coinvolti al suo interno, concludendo poi con una serie di consigli per la stabilizzazione del paese.

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