Negli ultimi due anni, il Vecchio Continente è stato percorso, fisicamente ed emotivamente, da molteplici attacchi terroristici i quali hanno acuito una situazione di crisi strutturale del Progetto Europeo che perdura da quasi un decennio. La maggior parte della responsabilità di tali attacchi è riconducibile a cittadini europei di nuova generazione affiancatisi al fanatismo religioso. Basti pensare alla strage della redazione Charlie Hebdo risalente al 7 gennaio 2015 dove gli attentatori, i fratelli Kouachi entrambi franco-algerini, giunsero in Francia in tenera età. Si pensi agli attentati che hanno nuovamente scosso le strade di Parigi nel novembre 2015, dove tutti gli attentatori erano belgi o francesi; agli attentati di Bruxelles di marzo 2016, dove si contano quattro belgi e uno svedese di Rosengard. Uno sguardo diverso merita l’analisi degli attacchi dell’ultimo anno in Germania che sono stati perlopiù compiuti da terroristi non europei. Nonostante questo dato, il nesso fra immigrazione e terrorismo rimane una semplificazione non pertinente, giacché gli attentatori extra-europei rappresentano meno dello 1% dei migranti in entrata. Perciò, dal momento che la maggioranza dei terroristi che hanno attaccato l’Europa negli ultimi due anni è composta da cittadini comunitari, è bene analizzare il fenomeno della radicalizzazione di giovani musulmani sul suolo europeo e, al contempo, valutare l’impatto della ghettizzazione e auto-ghettizzazione delle comunità musulmane sulla stessa sicurezza dell’Unione Europea nelle sue declinazioni: interna, come gli episodi di Colonia, infra-nazionale, come la crescita del populismo e dei partiti xenofobi, ed esterna, come l’azione dei foreign fighters in Siria e Iraq.

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