L’Unione Europea è sotto assedio, circondata da crisi esterne, insidiata da problematiche interne, scossa da contingenze internazionali. Le istituzioni comunitarie paiono bloccate, incapaci di mostrare i vantaggi dell’unità a cittadini spaesati e Paesi sempre più chiusi, convinti che rispondere da soli a sfide regionali o globali sia un approccio strategicamente fruttuoso.
Come ha delineato il Presidente della Commissione Europea Juncker il 14 settembre scorso a Strasburgo, durante il discorso sullo stato dell’Unione, la “nostra Unione europea sta vivendo, almeno in parte, una crisi esistenziale. […] Mai prima d’ora ho visto così poca intesa tra i nostri Stati membri. Così pochi settori in cui sono disposti a collaborare. Mai prima d’ora ho sentito così tanti leader parlare unicamente dei loro problemi interni, senza menzionare l’Europa o citandola solo di passaggio”.
Non solo, il Presidente ha voluto evidenziare come i rapporti tra le istituzioni sovranazionali e le autorità nazionali manchino ormai di sistematicità e interazione, abbondando invece di animosità e scontri dialettici.
In un tale contesto, con crisi che tanto più i governi approcciano individualmente quanto più si aggravano e incancreniscono, una goccia di nuova linfa al processo d’integrazione continentale potrebbe arrivare dal tema dell’energia. Nello specifico, dall’Unione energetica. La presente analisi è la prima di due parti e tratterà il livello politico-strategico della questione, mentre la seconda parte si occuperà di investigare il livello tecnico-infrastrutturale.