L’attuale scenario internazionale che vede la competizione politica tra potenze di medie e grandi dimensioni svolgersi a livello globale, non ha risparmiato nemmeno il Circolo Polare Artico, un’area di cui in passato si parlava esclusivamente nei documentari naturalistici e che, negli ultimi anni, è diventato un nuovo e inaspettato teatro di contesa. Il Circolo Polare Artico ricopre circa un sesto della massa terrestre, ovvero più di 30 milioni di chilometri quadrati: collocato in posizione centrale vi è il Mare Polare, un oceano ricoperto di ghiacci che si estende all’incirca per 14 milioni di chilometri quadrati, costituendo grosso modo la metà dell’area. Il Mare Polare è un oceano racchiuso fra terre emerse, con sbocchi nel Pacifico, attraverso lo Stretto di Bering, e nell’Atlantico, attraverso il Mar di Norvegia e di Groenlandia.
La data spartiacque di questo rinnovato interesse è comunemente indicata nel 2 agosto 2007, ovvero quando l’equipaggio di un sottomarino russo ha deposto il proprio vessillo nazionale sul fondo del Mar Glaciale Artico, a circa 4200 metri di profondità. L’operazione dei russi, oltre alla volontà di evidenziare le ritrovate ambizioni globali nel nuovo ordine mondiale, aveva l’obiettivo di rivendicare il possesso di una parte del territorio artico. Per lungo tempo considerato una inutile distesa di ghiaccio, l’Artico ha iniziato ad attirare l’attenzione delle compagnie energetiche e degli esperti del settore quando lo U.S. Geopolitical Survey annunciò che i fondali della regione contenevano fino al 22% dei depositi di gas e petrolio rimasti sul pianeta. Da quel momento tutti gli stati che si affacciano sulla regione hanno cominciato a muovere i propri apparati politico-economici per rivendicare una porzione di territorio, con le compagnie estrattive russe in prima linea, in virtù del consistente sostegno governativo. La Russia non è l’unico paese ad aver mosso passi decisi nell’Artico: la Norvegia estrae gas naturale dal giacimento di Snohvit, mentre gli Stati Uniti da tempo lavorano onshore nella regione di North Slope con alcune compagnie nazionali che hanno ottenuto dei permessi preliminari per iniziare a trivellare nel Mare di Beaufort, sempre in Alaska.
L’Artico costituisce un indicatore apprezzabile, oltre che un importante regolatore, dei cambiamenti climatici del pianeta perché le variazioni di temperatura a lungo termine sono sostanzialmente maggiori che altrove. Il ghiaccio presente nell’Artico, sia quello dei ghiacciai che quello marino, reagisce in modo drammatico a ogni cambiamento a lungo termine della temperatura che si verifica nell’atmosfera terrestre. Agli inizi del XXI secolo si pensava che, nella peggiore delle ipotesi, i ghiacci estivi dell’Artide sarebbero scomparsi soltanto nel 2070. L’11 dicembre 2007 un articolo dell’Associated Press rivelò al mondo dei dati sconcertanti: nel corso di quella estate i ghiacci si erano sciolti ad un ritmo mai visto prima, per un totale di 19 miliardi di tonnellate, ed il loro volume era diminuito del 50% rispetto alle rilevazioni di quattro anni prima. Sempre nel corso di quel cruciale 2007, le alte temperature estive avevano sciolto la piattaforma di ghiaccio al punto da rendere completamente navigabile l’Oceano Artico: per la prima volta nella storia, la regione era libera dai ghiacci, completamente percorribile da navi di medie dimensioni. La potenziale navigabilità di quest’area è stata poi confermata dalle varie spedizioni che hanno percorso sia il famoso Passaggio a Nord-Ovest che il meno conosciuto Passaggio a Nord-Est, ovvero il collegamento prossimo alle costa della Russia che partendo dall’Europa può giungere fino al Giappone, accorciando le distanze e i tempi di percorrenza. L’evoluzione in tal senso del teatro artico, certificato dagli eventi verificatisi quasi contemporaneamente nel 2007, ha generato una serie di sconvolgimenti di grande portata, sia nella sfera politica che in quella economica.
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