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La situazione egiziana successiva alle primavere arabe del 2011, sebbene caratterizzata da un livello di stabilità maggiore rispetto alla gran parte dei paesi limitrofi, si presenta tuttavia ben più incerta di quanto non potrebbe apparire ad una prima analisi.

La trentennale leadership politica di Mubarak, bruscamente interrotta dagli scontri del 2011, ha aperto alla transizione a guida militare da cui è infine emersa, nel maggio 2014, la figura del Generale Abdel Fattah Al-Sisi. La transizione, tutt’altro che semplice, ha avuto l’effetto di acuire le tensioni sociali, intensificando in particolare modo l’aspro scontro tra forze liberali e islamisti, entrambe fazioni il cui ruolo si è dimostrato decisivo nella destituzione del presidente Mubarak. L’intensità degli scontri, dopo aver raggiunto il suo apice nel luglio 2013 in seguito alla destituzione del presidente islamista Morsi, si è gradualmente ridotta con la vittoria del Generale Al-Sisi nel corso delle elezioni presidenziali del 2014. Ricordiamo qui che l’instaurazione del regime militare, sebbene qui specificatamente connessa all’opposizione contro il Presidente Morsi e indotta dalla necessità di gestire l’incertezza derivante dalla rivoluzione del 2011, risulta essere perfettamente in linea con la storia istituzionale egiziana che ha a più riprese sperimentato tale forma di governo. In Egitto i militari godono della stima e della fiducia della popolazione, e possono di conseguenza contare su un discreto appoggio e su buone probabilità di mantenere una leadership salda e duratura.

Più che sulla natura dell’attuale assetto istituzionale egiziano, l’attenzione dovrebbe di conseguenza concentrarsi sui complessi equilibri politici – la cui matrice è non sempre (e non necessariamente) da considerarsi interna – che hanno condotto all’esasperazione delle tensioni nel corso della rivoluzione del 2011 e, successivamente, alla destituzione del presidente Morsi.

La primavera araba egiziana ha avuto l’effetto di garantire uno spazio di governo a quell’islam moderato supportato dalla storica presenza politica dei Fratelli Musulmani. Non va inoltre dimenticato che l’esperimento dell’islam politico, analizzato con specifico riferimento all’Egitto, era guardato con favore dai principali attori esterni di rilevanza; esso avrebbe infatti garantito , in caso di successo e duratura permanenza al potere, una leadership capace di catalizzare pacificamente le spinte progressive e crescenti all’islamizzazione, evitando che le stesse degenerassero – come è poi purtroppo avvenuto – in forme di lotta violenta e in un rafforzamento dei gruppi terroristici locali e regionali. L’escalation terroristica che ha fatto seguito alla destituzione del presidente islamista, ha favorito la rapida ascesa e organizzazione dei gruppi fondamentalisti, portando alla concentrazione di cellule jihadiste in diverse aree del paese e specialmente nella penisola del Sinai. Le autorità di governo continuano a rispondere alle crescenti pressioni interne ed internazionali (queste ultime focalizzate in particolare modo sul mancato rispetto di diritti umani ad opera del regime) sottolineando l’esigenza di garantire con tutti gli strumenti necessari il progressivo raggiungimento di un grado maggiore di stabilità. La situazione politica interna sembra tuttavia ancora caratterizzata da forti polarizzazioni politiche, dalla mobilitazione permanente delle forze di opposizione, dalla totale esclusione dei rappresentanti delle principali forze islamiche moderate (si fa qui riferimento in primo luogo ai Fratelli Musulmani) e dai timori per la crescente repressione di qualsivoglia attività di protesta nata in seno alla società civile.

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