Intervista Generale D’UBALDI Mauro
Data e Luogo: Herat – 11 Maggio 2016
Intervistatrice: Dott.sa Serangelo Denise
(Responsabile Progetto Difesa e Sicurezza)
Afghanistan il paese della rinascita
Intervista al Comandante del TAAC WEST Generale Mauro D’Ubaldi
Quindici anni fa, si apriva la missione internazionale in Afghanistan, una delle più complesse a cui l’Italia abbia partecipato dal secondo dopoguerra ad oggi.
Da allora l’Afghanistan è un paese profondamente cambiato, che guarda al futuro con ancora uno sguardo orientato al passato, pronto ad accogliere una nuova e più evoluta modernità.
Quali sono ancora le sfide che questo paese deve superare per poter davvero camminare autonomamente.
Generale, fino ad ottobre 2015 si era parlato di una forte riduzione dell’impegno militare italiano e di un possibile ritiro del contingente italiano. Ora, Herat, si prepara ad accogliere un nuovo contingente da Roma, può fare chiarezza sulla missione a cui l’Italia sta partecipando in questo momento, come si articola e quale scopo ha?
L’Italia in accordo con le decisioni assunte dell’Alleanza ha deciso di proseguire l’impegno in Afghanistan per tutto il 2016 garantendo la guida della regione ovest con il Comando Training Advice and Assist Command West. Il nostro è uno dei paesi che, in questo momento, contribuisce alla missione RESOLUTE SUPPORT, la missione nella quale si è evoluta l’originaria ISAF, apertasi nel 2001.
La principale connotazione di Resolute Support è che si prefigura come una operazione no combat in un territorio in cui vi sono ancora problemi legati alla sicurezza; questo significa che non sono previste operazioni di combattimento, a meno che non si tratti di una condizione di legittima difesa o di attività volte a garantire la sicurezza del personale impiegato nei cinque Train Advise and Assist Commands (TAACs), ovvero le installazioni NATO presenti sul territorio afghano, nelle immediate vicinanze degli stessi.
La missione ha appunto lo scopo di addestrare (Train), fornire consulenza (Advise) ed assistenza (Assist) alle forze di difesa e sicurezza della Repubblica Islamica dell’Afghanistan.
I principali fruitori di tale assistenza sono dunque l’Esercito e tutte le Forze di Polizia presenti nel paese, che come da noi in Italia sono diverse e hanno compiti specifici.
Gli italiani hanno già addestrato, 400 istruttori che continuano ad essere seguiti anche nella prima fase successiva al termine del corso, cioè quella in cui sono loro stessi a sostenere i corsi per le reclute di esercito e polizia e poi con sempre minor costanza, man mano che assumono completa autonomia.
Nella nostra rotazione abbiamo addestrato circa 5000 uomini in modo diretto e indiretto. La gran parte di essi appartiene alla organizzazione centrale dell’esercito e della polizia afghana.
Un lavoro altrettanto importante lo stiamo facendo con NDS ovvero il servizio di intelligence afghano che ci ha chiesto di collaborare attivamente alla formazione dei loro quadri. Anche a questo personale abbiamo dedicato una serie di cicli formativi, con alta soddisfazione della loro leadership.
La Brigata Aosta, che ha avuto modo di trascorrere circa nove mesi in questo paese, ha potuto apprezzare una decisa crescita nella preparazione e nella efficienza di tutti i frequentatori e delle unità organizzative delle forze di sicurezza afgane.
L’Italia ha da sempre avuto un modo diverso, rispetto ad altri contingenti, di approcciare ai teatri di crisi. In questi quindici anni, com’è cambiato l’approccio multidimensionale italiano in Afghanistan e quali considerazioni può fare Lei alla luce della sua esperienza.
Credo si possa dire che l’approccio italiano al teatro afghano sia stato fin dall’inizio decisamente maturo. Come noto, le responsabilità sono evolute nel corso degli anni, coerentemente con gli sviluppi della missione. Ed è un fatto che l’intero Esercito abbia oramai consolidato nel proprio DNA l’esperienza afghana, le cui conoscenze sul campo, di carattere sia strettamente professionale che umano si sono negli anni estese a tutte le unità che qui hanno operato.
Sono certo e lo dico fuori da ogni tipo di retorica, che i militari italiani siano portatori di un segno distintivo particolare, fatto di matura e rispettosa considerazione
delle tradizioni, della cultura e della dignità di un popolo. Per questo la fiducia nei nostri confronti è andata sempre più consolidandosi. In tutti i ruoli, da quelli di combattimento a quelli di respiro addestrativo e nelle oramai istituzionali relazioni con la leadership militare e civile. E con grande autenticità, il nostro Paese è unanimemente considerato e apprezzato per tutto quanto ha fatto in questi anni. Spesso civili, militari e politici locali hanno voluto ricordare il retaggio delle nostre 54 vittime per la loro libertà, il sacrificio dei tanti feriti e delle loro famiglie. Lo fanno anche nella chiara considerazione che nella regione ovest si respira un clima assai diverso dal resto del Paese, dove accadono eventi che richiamano fortemente alla speranza di un futuro migliore. E’ decisamente l’area più fiorente e sicura dell’Afghanistan, quella che sembra alla vigilia di un possibile deciso salto di qualità. Ed è opinione di tutti che la presenza di noi italiani sia stata tutt’altro che un dettaglio.
L’Afghanistan tuttavia è un paese ancora profondamente diviso ed instabile, percorso da rivalità tribali e sacche di resistenza talebana. Quali sono, oggi, le principali minacce alla sicurezza del Paese.
La principale minaccia alla sicurezza del paese è – chiaramente – quella talebana. A volte è sorprendente come questa resistenza continui a mantenersi viva nonostante i lunghi anni in cui è stata combattuta intensamente.
Ma la loro sopravvivenza non è scevra da prezzi da pagare. Anzitutto il frazionamento dei fronti, che alla scomparsa del Leader unificatore, Omar, ha distinto le due correnti, quella più direttamente legata al ceppo originale facente capo allo stesso Mullah e quella recentemente denominata Islamic Emirate High Council, che nel corso del 2015 e nei primi mesi di quest’anno è stata protagonista di una serie di violenti scontri contro i primi, che hanno finito per indebolire, in molte aree, la capacità talebana di fare unico fronte nei confronti delle forze governative.
Un fattore altrettanto importante che caratterizza l’instabilità del Paese è tutt’ora quello di corruzione. In molte aree assai connessa a pratiche di carattere sociale e tribale dove è difficile eradicare un modus operandi che appare pressoché legittimo. Evidente come anche questi aspetti costituiscano elementi fondamentali che rallentano fortemente il cammino verso un migliore funzionamento dell’apparato sociale.
Ulteriore fattore è senza dubbio quello della criminalità, parte della quale legata all’insorgenza talebana ed in questo caso fortemente connaturata alla produzione, vendita e al commercio di stupefacenti.
L’oppio rimane una piaga importante, in un mercato che ha visto la produzione 2016 equiparata a quella dell’anno precedente, che aveva registrato una caduta del 50% circa, rispetto al 2014. Si assiste ad un calo dei guadagni dei coltivatori, con i livelli superiori impegnati a mantenere invece alti i prezzi dello stupefacente raffinato. Un trend che potrebbe rendere meno difficile, rispetto al passato, un’offensiva orientata alla proposta di colture alternative, che minerebbe significativamente i guadagni dei trafficanti, la maggior parte dei quali inestricabilmente connessi all’insorgenza talebana, che proprio nei momenti cruciali per la semina e la raccolta ed il traffico dell’oppio aumenta significativamente le proprie attività sul territorio, allo scopo di mantenere la propria libertà di movimento sulle rotte del traffico.
Se le insicurezze nel Paese sono molte di certo serve un Governo unito ed efficiente, il futuro assetto politico garantirà a quest’ultimo una condizione di sicurezza tale da garantire la ripresa economica e il relativo sviluppo?
Le forze di difesa e sicurezza afghane hanno fatto significativi passi in avanti nella costituzione di uno strumento efficiente e in grado di controllare il paese. La scorsa stagione è stata la prima nella quale hanno operato in autonomia e seppure con performances non del tutto omogenee, non esiste nessun distretto dell’Afghanistan che sia caduto in mano agli insorti.
Al tempo stesso, il Governo di Unità nazionale, pur indubbiamente progredito in moltissimi campi, risente la necessità di mantenere un attento balance of power tra tutte le numerose etnie e correnti politiche che continuano ad essere espressione delle molte realtà del Paese.
La sua ultima riflessione ci riporta alla questione dello Stato Islamico, com’è la situazione in Afghanistan sotto questo aspetto?
E’ un fenomeno sul quale il governo e le istituzioni afgane pongono molta attenzione. La declinazione afghana del Daesh, denominata Islamic State in Korashan (ISK) ha fatto sporadicamente la sua apparizione in molte aree del Paese. Ha avuto una presenza significativamente minacciosa soprattutto nella provincia di Nangarhar, dove ha aperto anche una emittente radiofonica, ma non sembra al momento in grado di costituire un attore di primo piano.
Spesso si tratta di una sorta di franchising che raccoglie sotto una bandiera di comodo personaggi fuoriusciti o cacciati dalle file talebane, delinquenti comuni e personaggi troppo compromessi per riciclarsi in altri ambiti e che cercano questa carta per mantenere la propria rilevanza locale.
Di fatto si tratta di una deriva che trova molto attento anche il vicino Iran, che ovviamente tiene particolarmente sotto controllo tali fenomenologie e che potrebbe eventualmente costituire un partner assai interessato a prevenire la crescita di movimenti che acquistassero una pericolosa significatività. Un fenomeno che, a mio modo di vedere, non è al momento ancora accaduto.
Una parte importante dell’impegno italiano in Afghanistan è sicuramente quello in favore della popolazione. Quali sono i principali progetti che si sono sviluppati in questi quindici anni?
I progetti più significativi sono quelli realizzati dal PRT ( Provincial Recostruction Team ) italiano che ha operato ad Herat dal 2005 al 2014, con 46 milioni e mezzo di euro stanziati dal Ministero della Difesa pr la realizzazione di molte iniziative di significativo ritorno sociale per la comunità locale. I Provincial Reconstruction Teams sono stati degli organismi a connotazione soprattutto amministrativa, che attraverso la conduzione di attività di cooperazione civile militare, avevano la responsabilità di assistere le istituzioni locali nel consolidare ed accrescere la propria autorità, al fine di facilitare lo sviluppo di un ambiente stabile e sicuro e concorrendo alla riforma del settore della sicurezza e più in generale alla ricostruzione della realtà ove operavano. Quello italiano di Herat, con le sue attività di costruzione di ambulatori, scuole, servizi sociali e un grande numero di altre facilities, è stato parte integrante del tessuto connettivo della città e della regione raggiungendo risultati che tutti hanno sempre considerato eccellenti. Oggi il ruolo preminente viene svolto o dagli organi di cooperazione del Ministero degli Esteri, sotto l’egida dell’Ambasciata di Kabul. Al momento è in atto il finanziamento di importanti tratti viari e strade come il grande bypass di Herat, una circonvallazione che migliorerà sensibilmente il traffico della città.
Recentemente, nel corso di una sua visita nel Paese, il Ministro degli Esteri Gentiloni ha firmato l’accordo per la costruzione di una ferrovia che collegherà la provincia di Herat al vicino Iran.
La Cooperazione Italiana, in collaborazione con l’Unesco, ha anche avviato un progetto per il restauro conservativo del Mausoleo e dei Minareti del complesso Musallah, nel centro della città.
Il Contingente italiano, mantiene da anni una consolidata rete di rapporti con il nosocomio di Herat, il centro per la riabilitazione dei tossicodipendenti, una serie di istituti scolastici e, con particolare vicinanza, un orfanotrofio ed il Centro PEER per la riabilitazione dei disabili.
Presto ci sarà il rimpatrio delle sue unità in favore della Brigata Pinerolo, cosa si sente di dire al suo successore e soprattutto cosa porta via dall’Afghanistan il Generale D’Ubaldi?
Al Generale Giampaolo MIRRA, il mio successore, un caro amico che stimo molto, chiedo di continuare a non accontentarsi, a lavorare fino all’ultimo giorno come se dovesse essere lui a chiudere la Missione, al tempo stesso mantenendo salda la propria concentrazione sulla sicurezza e su una lungimirante attività di pianificazione, come se invece dovessimo rimanere ancora a lungo.
Dico a lui e alla sua straordinaria Brigata Pinerolo, di lavorare con lo spirito di chi non perde la determinazione a costruire solidità e tensione verso un futuro migliore.
Da questo paese, Il Generale D’Ubaldi sente di ripartire -come da ogni sua precedente Missione – come una professionista ed un uomo più completo. Porta via un bagaglio di importanti rapporti interpersonali, ma anche la consapevolezza del privilegio di aver servito con soldati dalla tempra e dal coraggio eccezionali. Forse proprio i sorrisi degli uomini e delle donne della Brigata Aosta – ma anche delle altre componenti delle Forze Armate che hanno costituito il Contingente – sono le immagini della sigla finale di questa rotazione del TAAC West. Saper restare sereni anche dopo nove mesi di intensa attività operativa dice molto della nostra Difesa.
L’Italia ha visto il sacrificio di 54 militari nel proprio servizio in Afghanistan. Siamo uno dei paesi che più ha fatto e dato in questa Missione. Il cui retaggio ci appartiene. Ci ha cambiato come Forze Armate, e forse anche un poco come Paese. Indubbiamente, la storia di questo intervento è già oggi una delle più importanti degli ultimi decenni. E andrà studiata e ricordata come un frangente di significativa rilevanza dell’Italia nel panorama geostrategico mondiale del post-11 settembre.
Ma sono luoghi che vengono frequentati dalla popolazione? Riuscite ad avere testimonianza del loro utilizzo effettivo?
Sono tutti luoghi significativamente sfruttati dalla popolazione. In una recente visita ad una delle installazioni più simbolicamente significative, la Scuola Maria Grazia Cutuli, ho potuto apprezzare una struttura ben tenuta e molto frequentata.
Tra le priorità che ho rispettato nel corso del mio mandato, c’è stato l’incremento dei rapporti con la popolazione e della visibilità del Contingente come naturale partner per la sicurezza dell’area. Ciò a portato me e tutti gli uomini e donne del Contingente ad una presenza sensibilmente maggiore nella vita della città. Ed ho potuto constatare come questo sia risultato in una maggiore serenità ed in un consolidamento anche del ruolo dei nostri partner operativi principali: l’Esercito Afghano e le Forze di Polizia, che hanno tratto dalla nostra costante vicinanza, anche fisicamente ben visibile, una maggior credibilità ed accettazione da parte della popolazione. Maggiori rischi calcolati dunque, ma a fronte di positivi passi avanti nel raggiungimento degli obbiettivi della Missione.