di Denise Serangelo, Gaetano Mauro Potenza
La Libia è inesorabilmente diventata una Somalia del Mediterraneo che bussa prepotentemente alle porte del vecchio continente per sapere che futuro gli si vorrà dare.
Il nuovo governo libico tra insicurezza e criticità strutturali
Da ben due settimane a Tripoli si è insediato il tanto atteso Governo di unità nazionale, Fayez Serraj in qualità di neo premier ha già dato segno di una capacità alquanto anomala e inaspettata di creare consenso intorno all’esecutivo.
Proprio quest’ultimo più che raffigurare il nuovo inizio di un Paese distrutto da anni di caos incontrollato rappresenta invece l’ultimo amaro tentativo dell’Europa di risistemare il grande scacchiere interno al paese. Un tentativo che risulta anacronistico e soprattutto forzato agli occhi dei libici.
Un Governo non nasce a tavolino sulle macerie di un regime durato decenni, non si crea escludendo una parte della popolazione dalle trattative di pace a maggior ragione se tale Governo ha il compito di arginare l’avanzata dello Stato Islamico e fermare l’ondata di migranti pronti a partire per il Mediterraneo.
La Libia aspetta solo il suo casus belli per esplodere in una violenza inaudita che travolgerà l’intera regione, dando spazio di manovra alle milizie che intendono affiliarsi alle bandiere nere.
Vista e considerata l’instabile condizione sociale, aggravata da una recessione economica e dalla totale mancanza di sicurezza interna, probabilmente non dovremmo attendere molto. Le prime avvisaglie si sono già percepite nella notte tra sabato 16 aprile e domenica 17 quando è stata letteralmente assaltata la casa di uno dei vice del premier Serraj. Il politico si trovava impegnato in diversi incontri di lavoro dopo essersi confrontato con i primi ministri di Francia e Gran Bretagna. Proprio questi incontri potrebbero aver scatenato la furia delle milizie antagoniste al governo che vedono nelle cancellerie europee un grosso ostacolo al loro proliferare.
Nonostante l’incursione sia stata eseguita senza scomodare tecniche di derivazione militare, il commando è riuscito ad uccidere due guardie che erano in servizio per la protezione dell’abitazione.
Il Signore della guerra di Tripoli tale Haitem Tajour ha rivendicando l’atto si è detto fortemente contrario al nuovo esecutivo, giurando ulteriori ritorsioni verso chiunque appoggerà tale scelta. Il suo nome era già salito alle cronache per un primo grave caso di insicurezza legato alla figura di Al-Serraj proprio al momento dell’arrivo a Tripoli del premier. Le continue minacce di Tajour al suo antagonista fomentano a tutt’oggi l’impossibile dialogo tra le due parti facendo apparire impossibile un accordo per la pacifica convivenza.
Quello dello scorso fine settimana è il primo vero attacco al Governo di Unità Nazionale dal momento del suo insediamento a Tripoli. Per questioni di sicurezza Al-Serraj viene tenuto in una blindatissima base navale di Abu Sitta, la sua protezione è garantita da unità altamente addestrate di reparti speciali europei come esplicitamente richiesto dall’ONU.
Per quanto questa segregazione volontaria, quanto potrà durare in pochi lo sanno quel che è certo è che appena Tobruk si deciderà a concedere la fiducia al nuovo esecutivo la presenza del Premier designato per le strade si presenta come prioritaria.
Le prime due settimane di lavori del nuovo governo saranno ricordate dai posteri come caratterizzate da minacce, velati attacchi e tentativi piuttosto blandi di arrestare i suoi esponenti.
Le principali città libiche si trovano attualmente nel caos, riflettendo quello che è il clima politico del paese. Bengasi, la seconda città libica più importante per economia e storia è ormai assediata dai miliziani che ne rivendicano la proprietà. Nella sola giornata di domenica 17 aprile, fonti della sicurezza, parlano di 24 persone morte e altre 25 ferite gravemente, gli scontri dunque non si fermano e sembrano intensificarsi nel quartiere di Hawari. Per quanto Fayez Serraj in queste ultime settimane sia riuscito a conquistare il sostegno di diverse milizie, molte delle quali controllano fazioni più piccole da cui dipende una parte dell’attuale sicurezza territoriale, è sotto gli occhi di tutti che il Governo non ha influenza diretta su tali sostenitori.
Economicamente il neo leader è sostenuto dalla compagnia petrolifera di Stato e dalla Banca centrale, due dei principali attori finanziari del paese, entrambi convinti che sia necessario ripartire dalla produzione di greggio per risollevare le sorti del paese.
Il Rappresentante ONU Martin Kobler, si dice soddisfatto del lavoro svolto per il futuro libico ma sfortunatamente tali esternazioni non tengono conto di quella parte di attori politici esclusi dalle trattative di pace per le ragioni più disparate. Proprio come successe in Somalia quasi 25 anni orsono, gli eterni esclusi dal dialogo politico risultano essere coloro che più minano la sicurezza interna del paese.
Senza dover scomodare teatri operativi troppo distanti, basterebbe osservare meglio quanto accaduto in Afghanistan, un paese che nonostante governo e supporto internazionale stenta a ritrovare la sua pace sociale a causa dell’esclusione talebana dalle trattative.
Le prime vere domande per questo nuovo governo sono dunque la seguente: vorrà il Premier Al-Serraj distaccarsi dalla solita strategia di emarginazione proposta dall’ONU e lavorare in maniera più illuminata perché tutte le sfere politiche libiche siano rappresentate nel futuro del Paese?
Serraj guarderà con timore o rispetto a quel bacino di utenza che si giura pronto a muovergli guerra perpetua e che placherà la sua furia solo in cambio del giusto riconoscimento politico ed economico?
Una linea politica ancora non esiste a riguardo ma se si guardano i casi del futuro appena passato certamente non avremmo la risposta che vogliamo sentire. Dalla coalizione tra il governo e le milizie si snoda un’ulteriore problema ben più articolato: il controllo territoriale.
Da quest’ultimo elemento dipendono la sicurezza interna del paese e la sua proiezione verso l’estero (soprattutto nella regione mediterranea) nonché la stabilità necessaria per far ripartire l’economia. Per quanto pervado di buone intenzioni e supportato da poteri economici sommersi, questo esecutivo non può farcela da solo, il controllo totale ed incondizionato del territorio è indispensabile e Serraj non lo otterrà molto facilmente salvo che non si scenda a compromessi con la controparte. La comunità internazionale, consapevole della difficoltà militari libiche, preme avere la tanto sospirata missione che già si presenta come un probabile Vietnam a ridosso dei confini europei.
Inviare truppe osteggiate dalla popolazione e mal viste dagli stessi militari libici, in un territorio ostile e con evidenti ristrettezze economiche, accompagnato ad progetto politico insignificante persino sul breve periodo è sinonimo di sconfitta su tutta la linea.
In tutto questo clima di approssimazione totale sarebbe superficiale dimenticare la presenza ormai sempre più radicata dello Stato Islamico, presente nella zona di Sirte e con una forte influenza nella omonima regione portuale.
Se la Libia dovesse definitivamente ripiombare nell’anarchia è possibile immaginare che parte delle milizie, oggi solo orientate a far cadere il governo, si troveranno presto senza risorse in un gruppo alla sopravvivenza senza esclusione di colpi. In questo caso lo Stato Islamico, con la sua rete di welfare state informale, potrebbero essere un grande ed importante polo di attrazione non solo per le milizie in cerca di occupazione ma anche per quei sostenitori del governo disillusi dall’ONU. Il Mediterraneo, grazie agli oltre 200km di costa controllati dal Califfato, è candidato a diventare non solo hub di partenza del flusso migratorio ma anche territorio di prova per nuove tecniche di guerriglia marittima simile a quella dei Pasdaran iraniani. Sono molti gli analisti che sostengono la poca incisività dello Stato Islamico in Libia, probabilmente eliminabile con delle incursioni ben strutturate da parte degli uomini ombra europei.
Tuttavia se finora si è evitato il coinvolgimento nella lotta al terrorismo della fanteria il clima di incertezza politica e sociale della Libia impone almeno una sorta di arginamento del fenomeno jihadista a tutela del Mediterraneo. L’esercito libico, attualmente uno scarso agglomerato di milizie informe, non sarà in grado di arginare in nessun modo da solo le bandiere nere in avanzata verso pozzi petroliferi e città strategiche. Potremmo prevedere un supporto europeo alle manovre libiche, una sorta di strategia simile a quella russa in Siria, solo se ci sarà un nucleo tattico abbastanza forte gestire una basilare operazione militare. Nonostante la confusione diplomatica e militare le informazioni che giungono dai vertici ONU lasciano presumere l’apertura di un qualche supporto militare imminente. Il Generale Paolo Serra, attualmente Consigliere Militare del Rappresentante Speciale del Segretario Generale ONU per la risoluzione della crisi libica, ha sostenuto di voler riaprire l’ufficio diplomatico della missione Onu UNSMIL dove attualmente ha sede il Governo Serraj.
Una debole scintilla che lascia ben sperare i sostenitori di un intervento militare dai contorni incerti e dai risultati ancora meno prevedibili. Il Generale si è allineato fin da subito con la linea politica seguita da Roma e si è dichiarato a più riprese contrario ad interventi armati senza prima aver stabilito una solida base politica di partenza.
Tobruk – Tripoli: Prospettive di risoluzione della crisi politica
Tobruk il famoso parlamento riconosciuto e voluto dalla comunità internazionale non ha intenzione di votare la fiducia al Governo di Unità Nazionale promosso dall’ONU. Il governo di Serraj, protetto da milizie sul territorio di Tripoli, subisce una incursione nella notte del 16 aprile da parte di un commando armato. I media italiani riportano le interviste di salafiti che disprezzano l’isis sconfitta a Derna dal consiglio dei mujaheddin, queste ultime alleate al generale Haftar. Questa la Libia che appare all’alba del 19 aprile: un caos diplomatico, politico e militare.
Non è una Libia folle ma solo la normale dimostrazione che le forme chimeriche di alleanze discusse a tavolino non saranno mai plasmabili agli scenari che tengono conto del potere concreto e non teorico.
Se dunque la legittimazione viene dal basso in un contesto di stato westfaliano adesso più che mai la Libia ha bisogno di riscoprire in se stessa e nella sua storia un collante che sia in grado di far dialogare le forze sul campo. La sfiducia da parte di Tobruk è un chiaro segnale che, anche se ci sono dei foraggiamenti esterni in Libia iniziano a ragionale in termine di nazione e si alleano contro un qualcosa di esterno. E’ interessante a riprova di questo quanto è accaduto in passato dopo i droni a Sabrata, cioè la reazione dei libici stessi contro l’Isis. Le milizie di Zintan si sono unite a quelle di Misurata, cosa che non era mai successa. Anzi, era impensabile.
L’Isis è percepito come una forza straniera e i libici si sono mossi come un esercito unico, come sempre accade quando si sentono minacciati dall’esterno. Sotto questo aspetto ribadiamo l’impossibilità odierna di un intervento militare nel paese per il principale timore di fungere da catalizzatore per unire varie milizie contro il nemico invasore. Le mosse di Tobruk e la presunta coalizione di Haftar con altre milizie che si accinge alla lotta contro il governo esterno (quello di Serraj) dimostra come gli interessi di alcune potenze in Cirenaica (quelle dell’Egitto ad esempio) sono alla base della divisione dell’odierno paese. Il piano dell’Onu appoggiato da Roma vedeva infatti la costruzione di una legittimità sulla parte di Tripoli convinti che sarebbe bastato poi la legittimazione di Tobruk per unire il paese sotto un nuovo governo. Piano estremamente esemplificativo di una miopia storica di un territorio che racchiude il punto nevralgico degli interessi di mezzo mondo in nord Africa.
Tuttavia la partenza dalla Tripolitania con l’appoggio di Roma potrebbe essere una teoria ottimale per la risoluzione delle ostilità. Ma non con un governo creato ad hoc dall’esterno ma andando a trovare dentro la Libia quali sono i decision maker che stanno facendo andare avanti il paese a prescindere dalle lotte intestine, vogliamo qua sottintendere alla forza economiche che stanno dialogando con l’estero e che non sono assoggettate da lotte di potere. Sotto questo aspetto è interessante quanto suggerito da Descalzi (ad ENI) che in una intervista auspica non la creazione di un governo ed una sua imposizione dall’alto ma il cercare di creare un consenso dal basso partendo dalla Tripolitania regione dove ENI opera. Il piano dell’AD sembra quello di cercare di pacificare la Libia a piccoli “pezzi”. Creare un consenso per un governatore della Tripolitania e poi allargare la strategia nelle altre regioni.
A riprova di chi scrive ormai i libici sono un popolo unito e la possibilità che propone ENI ossia un federalismo che parte dal basso e che fonda le sue radici sulla base nazionale per cessare le ostilità e cacciare i fondamentalisti dal paese potrebbe essere una possibilità percorribile. Inoltre questo potrebbe garantire il dialogo con più entità esterne che svolgendo la loro attività di lobby non influenzerebbero la stabilità di un unico governo. Il collante a questo sistema potrebbe essere garantito dallo smembrare gli interessi economici per singole attività di lobby e dal proporre una base mistica storica che incarnerebbe gli ideali della nazione libica ossia la vecchia monarchi della senussyia più volte suggerita in altri studi (nota il jihad in Libia ed il bai’a al califfato). Federalismo con larga autonomia locale anche sul versante di politica estera potrebbe garantire una sopravvivenza della Libia.
Per riuscire in un tal disegno la formula adatta sarebbe quella di evitare una operazione militare ma effettuare operazioni chirurgiche coperte dai servizi segreti per eliminare di target scomodi ed una larga operazione di intelligence economica costruita sulle relazioni delle aziende private che operano sul territorio che possa fungere da base per costruire quei canali per una diplomazia sotterrane e che ponga le basi per dei negoziati reali tra le parti sul campo.