Intervista al Generale PIACENTINI Luciano
16/Marzo/2016
Dott.sa Serangelo Denise
Intervista semi-strutturata.
Alpha Institute ha continuato l’analisi iniziata con la Dott.sa Serangelo e il Generale Piacentini sul complesso sviluppo della crisi libica
La Libia ha un nuovo Governo di Unità Nazionale, per molti è solo l’ennesimo caso di autorità imposta altri credono davvero che possa assolvere al compito arduo di riportare la stabilità nel Paese.
Potrebbe dirci in base alla sua esperienza cosa ne pensa?
Non sono molto ottimista su questo neonato governo – la cui missione di Serraj appare molto complessa – che si trova ad operare nel seguente scenario:
- non è rappresentato da tutti gli “attori” presenti nel Paese, ivi inclusa un terzo della popolazione;
- Serraj non ha ricevuto la fiducia del parlamento di Tobruk (peraltro riconosciuto, a suo tempo, dalle Nazioni Unite come il solo legittimo nella Libia).
Il generale Haftar – in contrasto con il neonato Governo, sostenuto da un notevole numero di parlamentari di Tobruk ed appoggiato dall’Egitto – avrebbe un piano per la separazione della Cirenaica;
- significativa entità numerica di fazioni e di polazione scontenta, nel più ampio contesto delle oltre 140 etnie presenti.
Tale scenario è altresi completato dall’intervento sulla Libia, diretto o indiretto, di Paesi con interessi nazionali contrapposti o non convergenti.
In relazione a quanto delineato, temo che occorra tornare al tavolo delle trattative.
Generale Piacentini, considerato che l’Italia non ha intenzione di aprire una vera e propria missione militare in terra libica l’ipotesi più accreditata è quella di un programma di Training per le nuove Forze Armate, potrebbe dirci cosa pensa di questa opzione? E’ praticabile in uno scenario come l’attuale Libia?
Il nostro Paese è già stato ed è tuttora impiegato in questa attività – con team di propri istruttori – in Iraq ed in Afghanistan con risultati pienamente soddisfacenti.
In Iraq i curdi stanno ricevendo l’addestramento da poco più di un anno e contestualmente contrastano con efficacia l’autoproclamato stato islamico grazie ai nostri insegnamenti. Così come in Afghanistan, i militari hanno fruito della formazione da parte degli istruttori italiani: in questo caso i risultati sono tangibili.
La Libia è però un’altra storia: sono del parere che solo quando vi sarà un Governo regolarmente eletto si potrà avviare la formazione per le Forze Armate.
Personalmente sono una grande sostenitrice dell’Approccio integrato italiano nelle aree di crisi, vedrei la sua applicazione molto bene nell’attuale scenario libico.
Una missione composta al 50 % dalla componente militare e dall’altro 50% da personale ausiliario che si dedica a questioni socio-sanitarie potrebbe essere una via percorribile?
Nell’attuale scenario libico, complesso, caotico e caratterizzato da diffusa instabilità, ritengo sia prematuro parlare di comprehensive approach – che comunque condivido pienamente, ma in un quadro di condizioni di sicurezza diverse dalle attuali – tenuto conto della molteplicità di attori sia interni alla Libia stessa (le oltre 200 fazioni) sia esterni rappresentati dai Paesi che su quest’ultima non palesano i propri “appetiti”. Ne deriva il seguente quesito: la Libia rimarrà uno Stato unitario o si trasformerà in una nuova realtà con la separazione delle tre Regioni – Tripolitania, Cirenaica e Fezzan – come frequentemente si ipotizza? Qualora rimanga uno Stato unitario, occorre considerare che i tempi necessari per un governo regolarmente eletto sono lunghi. Nel merito ritengo che l’unica possibilità di porre fine alle correnti divisioni e conflittualità passi inevitabilmente attraverso il dialogo e la mediazione a cui seguono la riconciliazione nazionale – in una situazione in cui circa un terzo della popolazione viene marginalizzata – nonché il disarmo. Raggiunti tali traguardi, si avvia poi il processo politico.
Generale, è impossibile parlare di Libia senza pensare allo Stato Islamico che si sta radicalizzando sempre di più. Quali sono le notizie che può fornirci circa l’attuale rapporto tra la popolazione libica e Daesh?
La situazione è davvero così critica come si tende a dipingerla oppure è solo preoccupazione prematura?
Il cosiddetto stato islamico è una realtà – sia interna alla Libia sia in prossimità delle sue porte – sempre più evidente. Sono convinto che più si si rimanda il contrasto nel tempo, più le radici si consolideranno, maggiori saranno le difficoltà per debellarlo.
L’intervento per arginare tale fenomeno è ineludibile e prioritario per due ragioni: la prima è quella di ostacolare Daesh nel conseguire accordi volti ad alimentare le fila dei suoi adepti:
- sia con le con le fazioni locali contrarie al neonato governo Serraj, quest’ultimo già definito da Ansar Al Sharia – una formazione terrorista di matrice jihadista vicina all’autoproclamato stato islamico – il “Karzai della Libia”. In sintesi, un riferimento all’ex Presidente dell’Afghanistan sostenuto, nel corso del suo mandato, dagli Stati Uniti per contrastare i talebani;
- sia con la popolazione locale, cavalcandone il malcontento diffuso e mai tenuto in considerazione né dalla Libia né dai Paesi con propri interessi nazionali rivolti su quest’ultima.
In secondo luogo Daesh stesso ha subito un duro colpo in Siria ed in Iraq ove attualmente è sulla difensiva: Daesh, dunque, è costretto a trovare una valida alternativa – cioè la Libia – a questi due Paesi.
Occorre considerare che la Libia stessa è un immenso giacimento di risorse energetiche (petrolio e gas) preziosissime a Daesh per per alimentare la sua macchina burocratica e non solo.
Allo stato attuale si valuta che siano circa 6000 gli uomini del califfato nell’area di Sirte.
Visti gli ultimi sviluppi di cui abbiamo parlato circa un Governo di Unità Nazionale considerato imposto dall’ONU e poco efficace, è plausibile ipotizzare che vi sia una migrazione di massa verso le file dello Stato Islamico di quelle milizie scontente del nuovo assetto politico della Libia?
E’ possibile che, qualora Tripoli non venga coinvolto nei tavoli di pace, vi sia un “trasloco” di massa verso le fila dello Stato Islamico – come in precedenza accennato – che include le fazioni contrarie a Serraj e un’aliquota della popolazione.
Daesh ha un rilevante ascendente su coloro che non hanno occupazione perché offrono denaro e una posizione stabile, una sorta di occupazione.
Il futuro della Libia, allo stato attuale, è in salita: occorre una valida e credibile alternativa all’arruolamento dello stato islamico.
Conclusioni.
Gli interessi petroliferi presenti nel Paese – le più grandi riserve petrolifere dell’Africa – lo hanno reso una fonte inesauribile di approvvigionamenti non solo per le fazioni terroristiche in lotta tra loro ma anche e soprattutto per gli “appetiti” dei paesi occidentali.
Per conseguire l’arduo obiettivo della pacificazione e sostenere il popolo libico nella ricostruzione politica ed economica del Paese, a prescindere dal tipo di governo – monarchico o repubblicano – si ritiene necessario proseguire sulla strada della mediazione, tramite:
- invito, a tutti gli attori internazionali, a congelare temporaneamente i loro rispettivi interessi, cessando di sostenere e di alimentare con armi e denaro le varie fazioni che sponsorizzano;
- rimozione di veti per interessi incrociati di potenze estere, ivi comprese quelle europee che, nonostante il regime dispotico di Gheddafi, hanno continuato a gravare sull’area sotto forma di protettorato latente. La “deriva” attuale è anche conseguenza della loro miopia strategico-politica e della loro insaziabilità – per anni si sono contese il dominio coloniale dell’area mediterranea – perché colpite anch’esse dalla crisi finanziaria del 2009, con il tentativo di sottrarre all’Italia risorse preziose per la sua economia cercando di targare “TOTAL” e “BP” le royalties detenute da ENI;
- ricerca ed acquisizione del consenso della popolazione – nessun compromesso può reggere qualora se ne calpestino le aspirazioni – al fine di convogliare opportunamente il malcontento per replicare alle sfide, che il popolo stesso sta affrontando, che determineranno il successo o il fallimento della transizione verso la democrazia;
- avvio del processo di riconciliazione nazionale, a premessa del dialogo per la riconciliazione politica, aggregando un’ampia coalizione delle varie forze politiche, per stimolare l’opinione pubblica a sostenere la pacifica risoluzione dei conflitti, la definizione di strutture formali dello Stato ed il rispetto dei diritti civili e umani fondamentali;
- recupero, nel più breve tempo possibile, della legittimità persa dando concreta attuazione a progetti esecutivi nei settori della sicurezza, della salute, dell’istruzione, delle infrastrutture e delle riforme politiche;
- sostegno, nei confronti delle associazioni e confraternite islamiche, degli elementi di conciliazione e pacifica convivenza ribaditi, al ritorno dal viaggio in Turchia, da Papa Francesco che rivolto ai leader politici e religiosi islamici ha – tra l’altro – detto: “Condannate chiaramente il terrorismo, l’Islam è un’altra cosa”. “Il Corano è un libro profetico di pace”, in modo che la politica torni a prevalere sulle milizie armate che al momento controllano la base sociale del Paese.
In definitiva, uno dei principali sbocchi sul Mediterraneo non può essere etichettato come il classico Stato fallito e lasciato al miglior offerente: dalla Libia dipendono la stabilità regionale e la sicurezza del bacino mediterraneo – l’area geopolitica, a livello globale, più importante ed allo stesso tempo più difficile – entrambe fondamentali per il futuro assetto dell’Europa.